Se c’è una cosa che il Covid-19 non ha fermato, è la crescita della ricchezza dei miliardari. Solo negli Stati Uniti, dal 18 marzo al 15 settembre la ricchezza di 643 persone è cresciuta complessivamente di 845 miliardi di dollari. Contemporaneamente 50 milioni di lavoratori perdevano il lavoro (14 milioni sono ancora disoccupati) e ottenevano sussidi dal governo.
È una crescita di ricchezza che non si ferma. Il patrimonio personale di Jeff Bezos venerdì 16 ottobre è arrivato a 192 miliardi di dollari, (+69,9% da marzo), Elon Musk a 91,9 miliardi (+273,8%), Mark Zuckerberg a 97,9 miliardi, (+78,6%), solo per citare i più famosi. Oltre ai boom di Amazon, Tesla, Facebook, Microsoft, il lockdown è stata una benedizione anche per il fondatore e ceo di Zoom, Eric Yuan, passato da 5,5 a 24,7 miliardi di dollari (+349%) grazie alle videoconferenze cui siamo stati obbligati a ricorrere. Ed è entrato in classifica il creatore del videogioco Fortnite, Tim Sweeny, che oggi possiede 5,3 miliardi di dollari.
Anche la peste suina crea ricchezza

Dopo gli Stati Uniti, al secondo posto c’è la Cina con 456 miliardari in elenco. A aprile il maggior incremento di ricchezza se l’era aggiudicato Qin Yinglin, l’allevatore di maiali più grande del mondo: è passato dai 4,3 miliardi di dollari del 2019 ai 23,4 miliardi attuali perché un’altra epidemia – la peste suina – ha fatto schizzare alle stelle il prezzo della carne. Il Covid ha modificato anche in Cina la classifica. In testa non c’è più Jack Ma: il creatore del colosso dell’e-commerce Alibaba, oggi a quota 53 miliardi, è sceso al terzo posto. E’ stato superato da Ma Huateng, presidente e ceo di Tencent, super holding che controlla fra l’altro WeChat: a marzo possedeva 38 miliardi, oggi ha superato i 61,6 miliardi. Al secondo posto è schizzato da poche settimane Zheng Shanshan: da 1,9 a 55,9 miliardi di dollari in sei mesi grazie alla quotazione in Borsa di due suoi gruppi, le acque minerali Nongfu Spring e la Wantai Biological Pharmacy.

I miliardari italiani

In Italia Forbes ne segnala 40 (erano 36 ad aprile). Al primo posto Giovanni Ferrero con 26,5 miliardi di dollari, seguito da Leonardo Del Vecchio con 20,8, la famiglia Aleotti (Menarini Industrie Farmaceutiche) con 10,2 miliardi (1 miliardo di evasione scudati), Giorgio Armani passato dai 5,4 di inizio aprile agli 8,5 di oggi, Stefano Pessina con 8 miliardi e Silvio Berlusconi con 6,4 miliardi. Ma c’è anche il meno noto Gustavo Denegri (5,9 miliardi), presidente e primo azionista del gruppo di biotech Diasorin.

Da dove arriva questa ricchezza?

Tanti soldi si concentrano sempre di più in poche mani, ma la gran parte non per meriti propri. Da un terzo al 60% dei super-ricchi (a seconda di come viene classificata l’origine delle fortune) ha ereditato i miliardi che possiede, a cominciare dalla new entry Mackenzie Scott con 62 miliardi di dollari (erano 36 ad aprile): la sua fortuna è quella di essere stata la moglie di Bezos. Otto delle prime dieci donne più ricche al mondo sono in classifica grazie al padre o al marito miliardario. Le restanti due sono self-made women cinesi.

Idrocarburi, olio di palma, casinò

Un altro terzo almeno è composto da protagonisti del capitalismo di relazione, ovvero fanno affari grazie all’appoggio dei governi con leggi a favore, occhi chiusi della autorità antitrust, lobbying sui parlamenti, brevetti ed esclusive estremamente estese che creano monopoli di fatto o di diritto. Per esempio il messicano Carlos Slim (53,1 miliardi di dollari) è l’uomo dei telefoni in Messico. In Russia i primi dieci miliardari si occupano tutti di materie prime e idrocarburi: Vladimir Potanin (22,9 miliardi) possiede la maggioranza di Nornickel (palladio e nichel); Vladimin Lisin (22,6 miliardi) è il re dell’acciaio. Leonid Mikhelson (20,7 miliardi), produttore di gas naturale, Roman Abramovich (12,6 miliardi) grazie soprattutto a carbone, nichel e palladio. Il filippino Enrique Razon Jr. (4,8 miliardi) è la terza generazione della dinastia che controlla i porti nel Paese asiatico. Il malese Robert Kuok, 11,1 miliardi di dollari, ha fatto fortuna con l’olio di palma. Le coltivazioni comportano l’abbattimento di intere foreste pluviali contribuendo pesantemente ai mutamenti climatici; l’olio utilizzato come combustibile fossile è inquinante, mentre il palmisto, impiegato nell’industria alimentare, è fra i più pericolosi grassi saturi. Ben 21 miliardari che valgono complessivamente 100 miliardi di dollari sono nel business dei casinò.

L’ingegneria fiscale

Quando hai tanti soldi, puoi anche permetterti i migliori esperti fiscali per creare trust, scatole cinesi, veicoli offshore e spostando la residenza fiscale dove è più conveniente. Lo fa la maggior parte delle multinazionali. Solo per fare un esempio, in Italia, la famiglia Rocca controlla Tenaris attraverso un sistema di scatole che hanno al vertice una fondazione olandese. Secondo una recente analisi di Mediobanca i giganti del web hanno versato 46 miliardi di dollari di tasse in meno, solo negli ultimi 5 anni. Microsoft ha così risparmiato 14,2 miliardi; Alphabet (Google) 11,6; Facebook 7,5. Tra i giganti del web, Microsoft è quella che ha pagato meno in tasse: appena il 10% degli utili nel 2019. Inoltre circa l’80% della loro liquidità – 638 miliardi a fine 2019, secondo Moody’s – è tenuta in paradisi fiscali per sottrarla al Fisco dei paesi di provenienza.

Contratti infami ai dipendenti di ultimo livello

I soldi si fanno risparmiando poi sul lavoro. La gran parte delle multinazionali applica contratti indegni ai dipendenti che stanno in fondo alla filiera, o ricorre subfornitori che a loro volta usano lavoratori sottopagati. Noti marchi del lusso italiani hanno obbligato sotto Covid i loro artigiani ad applicare uno sconto del 2% sugli ordini già concordati. Bezos, che è l’uomo più ricco del pianeta e ceo di Amazon, paga in Italia un co.co.co sì e no 700 euro al mese. Non ha sborsato un euro per i mille tamponi fatti dalla Regione Emilia Romagna ai dipendenti del centro logistico Amazon di Castelsangiovanni. Ferrari e Ducati li pagano invece di tasca loro.

In 2153 hanno più soldi di 4,6 miliardi di persone

Secondo la ong Oxfam i 2.153 miliardari del mondo detengono il 60% della ricchezza globale, ovvero hanno più soldi di quanti ne possiedono tutti insieme 4, 6 miliardi abitanti della Terra. Come contrastare questa ricchezza che si concentra sempre di più nelle mani di pochi, mentre il livello di disuguaglianza continua ad allargarsi? Le proposte di economisti e politici sono tante: da eliminare le protezioni legali agli oligopolisti per aumentare la concorrenza ad alzare le tasse di successione per i grandi patrimoni o di introdurle lì dove non ci sono. Ma si fermano sui tavoli dei convegni.

Le fondazioni filantropiche e Bill Gates

Il dibattito sulle tasse è molto acceso in Usa dove, tra il 1980 e il 2018, le tasse pagate dai miliardari, in rapporto alla ricchezza, sono diminuite del 79%. Una proposta è quella di tassare le fondazioni nelle quali i mega-miliardari conferiscono le loro ricchezze con il solo obbligo di donare appena il 5% l’anno del loro patrimonio. Scegliendo come e dove intervenire le fondazioni filantropiche di fatto privatizzano le politiche di welfare. Il miliardo che arriva al bilancio dell’Oms dalla Gates Foundation e Gavi Alliance consente di fatto a Bill Gates, in qualità di maggior contribuente, di orientarne le decisioni di politica sanitaria globale. Si sta accreditando come il maggior benefattore dell’umanità e oggi chiede agli Stati di aumentare la tassazione ai più ricchi del pianeta. Gliene siamo grati. Non dice una parola però contro il turismo fiscale di colossi come Microsoft, grazie al quale ha fatto (e continua a macinare) miliardi.

Usa: le apparenze e i fatti

La sinistra americana nelle elezioni in corso ci ha provato con Bernie Sanders a proporre un’imposta del 60% sui guadagni realizzati dai miliardari durante la pandemia per sostenere le spese sanitarie. Diversi miliardari sono pure d’accordo, a cominciare dal finanziere Warren Buffett, 80,2 miliardi di dollari, quarto uomo più ricco al mondo. Ma oggi il candidato democratico è un altro, Joe Biden. E dall’altra parte c’è Donald Trump, posto 1.092 nella classifica mondiale con 2,5 miliardi di dollari. Per 15 anni ha pagato zero dollari di tasse, grazie ad ottimi (dal suo punto di vista) consulenti fiscali. Da aprile a settembre, mentre in America il Covid fermava il Paese, la sua ricchezza è cresciuta del 20%.

Quanto togliere ai ricchi per creare posti di lavoro

Secondo il calcolo di Oxfam un aumento dello 0,5% della tassazione a carico dell’1% più ricco del mondo, consentirebbe in dieci anni di pagare 117 milioni di posti di lavoro nella scuola e nell’assistenza e cura di anziani e malati. Maggior peso fiscale sui ricchi, inoltre, toglierebbe un po’ di peso dalle tasse sul lavoro.

In una lettera Amazon ha voluto precisare di essere un «datore di lavoro attento» e che «offre retribuzioni altamente competitive, a partire dagli operatori di magazzino della rete logistica fino ai dipendenti degli uffici corporate e del customer service» e non ricorre a co.co.co. E che «il salario di ingresso degli operatori di magazzino è di 1.550 euro lordi, ovvero 100 euro in più rispetto ai 1.450 previsti» dal contratto nazionale della logistica. Inoltre che ha un sistema di welfare aziendale con benefit molto avanzati e che in Italia è stato dato un premio da 500 euro lordi ai dipendenti (250 a quelli in part time). Da aprile hanno anche aumentato la paga oraria di 2 euro. È certamente vero che i dipendenti assunti hanno un contratto che rispetta i termini dei contratti collettivi; ma Amazon, come tante altre aziende che operano nella logistica, esternalizza molto lavoro e al miglior prezzo. In quel mondo, oltre ai contratti co.co.co., c’è moltissimo nero e non si pagano gli straordinari. Ci sono decine di inchieste aperte su questo sottobosco che fornisce servizi ai colossi della logistica. Amazon afferma di effettuare «regolarmente controlli per assicurarci che le attività dei fornitori siano conformi alle norme vigenti e al nostro Codice di Condotta dei Fornitori che prevede retribuzioni eque e orari di lavoro appropriati, ed effettuiamo controlli su ogni segnalazione di non conformità» (che quindi ci sono). Per quel che riguarda l’emergenza Covid-19, ci siamo limitati a rilevare che quando è scoppiato il focolaio dentro la Bartolini, la Regione Emilia Romagna ha fatto fare tamponi a tappeto a tutte le società di logistica, fra cui Amazon, a spese dell’amministrazione pubblica, in base a una ordinanza regionale che prevedeva l’intervento di strutture pubbliche.

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