Diritto all’oblio: il diritto di ottenere la cancellazione del proprio nome dai motori di ricerca

 

Il diritto all’oblio è collocato tra i diritti inviolabili menzionati dalla norma che è l’art. 2 Cost. E’ il diritto di un individuo ad essere dimenticato per fatti che in passato furono oggetto di cronaca. L’interesse pubblico alla conoscenza di un fatto è racchiuso in quello spazio temporale necessario ad informarne la collettività, e che con il trascorrere del tempo si affievolisce fino a scomparire. In pratica, con il trascorrere del tempo il fatto cessa di essere oggetto di cronaca per riacquistare l’originaria natura di fatto privato.

Un fatto privato può divenire oggetto di cronaca se c’è interesse pubblico a tale notizia. Molto spesso le persone vogliono essere informate dell’accaduto di qualsiasi genere con tempestività quasi in tempo reale. Una volta però che il pubblico viene informato con completezza, cessa l’interesse pubblico in quanto la collettività ha ormai acquisito il fatto. Semplicemente perché non fa più notizia, e riproporre l’accadimento sarebbe inutile, poiché non vi sarebbe più un reale interesse della collettività da soddisfare.

Non solo inutile per la collettività, ma anche dannoso per i protagonisti in negativo della vicenda. Qui la reputazione dei soggetti subirebbe una ulteriore lesione. E se la lesione è inizialmente giustificata dall’esigenza di informare il pubblico su fatti nuovi, non lo è più dopo che la notizia risulta ampiamente acquisita. A partire dalla sua completa acquisizione, sorgono i presupposti del diritto all’oblio.

Come accennato all’inizio un ulteriore fondamento del diritto all’oblio va rinvenuto nell’art. 27, comma 3°, Cost., secondo cui “Le pene […] devono tendere alla rieducazione del condannato”. E’ il principio della funzione rieducativa della pena. Questa, cioè, non deve avere soltanto la funzione di punire, ma anche (e soprattutto) quella di favorire il reinserimento sociale del condannato, la sua restituzione alla società civile. Ebbene, la pena non potrebbe assolvere alla funzione di restituire il condannato alla società civile se in quest’ultima rimanesse ben saldo il ricordo di quanto quel condannato ha fatto. Ricordo che sarebbe rafforzato proprio dalla riproposizione dello stesso fatto. E ciò dovrebbe valere tanto per i reati minori, quanto per quelli più efferati.

Vi sono fatti talmente gravi per i quali l’interesse pubblico alla loro riproposizione non viene mai meno. Si pensi ai crimini contro l’umanità, per i quali riconoscere ai loro responsabili un diritto all’oblio sarebbe addirittura diseducativo. O ad altri gravi fatti che vengono riproposti proprio perché non vengano dimenticati. O anche a vicende che si può dire abbiano modificato il corso degli eventi diventando Storia, come l’attentato al Papa, il “caso Moro”, i fatti più eclatanti di “Tangentopoli”. Qui non si può parlare di diritto all’oblio perché i fatti non diventano mai “privati”. Al contrario, sarebbe proprio la loro mancata riproposizione a porsi in contrasto con l’interesse pubblico, che qui prevale sempre sul diritto del singolo individuo a non essere più ricordato.

Il diritto all’oblio scatta sempre, a partire dal momento in cui cessa l’interesse pubblico intorno ad un fatto. Essendo il diritto all’oblio subordinato al perdurare della mancanza dell’interesse pubblico, può accadere che a distanza di tempo sorga un interesse pubblico alla riproposizione del fatto medesimo. E’ il caso di chi, essendo stato condannato per stupro anni prima, commette un’altra violenza sessuale appena uscito dal carcere. Qui diventa legittima non soltanto la diffusione della notizia relativa all’ultima violenza, ma anche la rievocazione del vecchio delitto, poiché stimola nell’opinione pubblica l’inevitabile dibattito sulla funzione rieducativa del carcere, nonché sulle misure da adottare per contrastare un’autentica piaga sociale.

La riproposizione della vicenda potrebbe comprometterne non il reinserimento sociale, ma il benessere psico fisico, poiché riviverebbe mentalmente sofferenze che chiunque vorrebbe aver dimenticato per sempre. Un problema che, nella rievocazione dei casi più gravi di cronaca nera, tocca per ovvi motivi gli stretti congiunti della vittima.

 

giudice legge

Il diritto all’oblio sorge a tutela della reputazione di un soggetto, risacrificabile soltanto in presenza di un ritorno dell’interesse pubblico. Per la vittima, la rievocazione di un fatto passato non pone mai problemi di lesione della reputazione. Di conseguenza, qualora dovesse sorgere l’interesse pubblico alla riproposizione di un fatto potenzialmente lesivo della reputazione del carnefice, le esigenze di riservatezza della vittima verrebbero assorbite da quello stesso interesse pubblico. Fermi restando, tuttavia, quegli accorgimenti volti ad impedire una identificazione della vittima su larga scala. Accorgimenti che tutelano, per quanto possibile, la sua riservatezza; e che al contrario non vanno adottati nei riguardi del carnefice, vero oggetto dell’interesse pubblico.

Il diritto all’oblio non può, quindi, essere rivendicato autonomamente dalla vittima. La conclusione può anche logicamente trarsi dalla soluzione che andrebbe fornita ad una particolare fattispecie: quella dei congiunti delle vittime di casi di cronaca nera ancora avvolti nel mistero. La riproposizione di casi irrisolti o comunque misteriosi presenta una duplice utilità sociale. In primo luogo, la collettività viene aggiornata sullo stato delle indagini. In secondo luogo, si rende operante un principio di natura squisitamente democratica: si permette la partecipazione ideale della collettività alla soluzione del caso, stimolando un dibattito che per forza di cose resta aperto.

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Per questi ultimi casi, sarebbe la semplice pretesa di un diritto all’oblio a contrastare con l’interesse pubblico, perché ostacolerebbe la stessa funzione informativa. Tra l’altro, qui parlare di diritto all’oblio potrebbe anche considerarsi errato, dal momento che si tratta di casi “aperti” in quanto non ancora risolti. Il diritto all’oblio, invece, sorge proprio nel momento in cui non vi è più alcuna necessità di informare o aggiornare il pubblico.

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Al limite, di diritto all’oblio può legittimamente parlarsi per quei soggetti che all’epoca dei fatti furono posti all’attenzione del pubblico per dovere di completezza della notizia, pur avendo una posizione marginale. E’ possibile che l’interesse pubblico alla riproposizione del fatto non sia tale da rendere necessaria una loro partecipazione. Si può dire, quindi, che qualora sorga l’interesse pubblico alla riproposizione di un fatto passato, non potranno invocare il diritto all’oblio quei soggetti che risultavano in relazione diretta con il fatto. In una parola, gli attori principali. Ciò a prescindere dal ruolo di carnefice, vittima o testimone che fu loro attribuito dalla cronaca. Soggetti la cui eventuale esclusione dalla riproposizione del fatto passato ne ostacolerebbe una fedele ricostruzione, finendo così per vanificare il risultato informativo cui mira la stessa riproposizione.

E’ evidente che nessun problema di riservatezza si pone quando i soggetti potenzialmente tutelati dal diritto all’oblio forniscono il proprio consenso alla rievocazione del fatto.

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