L’alta sartoria di Dolce&Gabbana è un viaggio nella Sicilia millenaria

di Giulia Crivelli

3′ di lettura

Ci vorrebbe un libro riccamente illustrato per descrivere le lavorazioni, tradizionali ma anche nuove, di ogni capo e accessorio di alta moda e alta sartoria presentati da Dolce&Gabbana nella Valle dei Templi e nell’ex sede dei Gesuiti di Sciacca. Un secondo volume servirebbe per un racconto esaustivo su tessuti, bottoni, perline, nastri, cerniere. Alla mitologia greca e latina sono stati dedicati migliaia di saggi, romanzi, fumetti e videogame. Altrettanto ricca la letteratura sulla Sicilia la sua lunghissima e contraddittoria storia. Una citazione per tutte, di Goethe: «La Sicilia è la chiave di ogni cosa. Trovarsi di persona nel punto in cui convergono tanti raggi della storia del mondo non è cosa da poco».

Domenico Dolce e Stefano Gabbana sono riusciti a unire queste narrazioni – la loro moda, la mitologia, il “vissuto” della più indecifrabile delle regioni italiane – senza usare parole. O meglio, hanno usato la lingua che conoscono meglio, quella della creatività, universale per definizione. Come quella della bellezza. «Abbiamo sfogliato tanti libri, ripensato a tutte le volte che nella vita, dalla scuola in poi, abbiamo incrociato immagini e racconti degli dei greci – raccontano Domenico Dolce e Stefano Gabbana –. Le collezioni sono nate così, ma altrettanto importanti sono i luoghi che abbiamo scelto per presentarle, il Tempio della Concordia e il palazzo del Seicento costruito dai gesuiti a Sciacca. È dal 2012 che organizziamo queste giornate speciali per le collezioni più esclusive e non si è mai trattato solo di abiti. Cerchiamo di creare brevi ma intensi viaggi, esperienze di bellezza che vanno ben oltre i dettagli di ogni look». Non hanno più paura – forse non l’hanno mai avuta – di farsi alfieri di una visione del mondo, puntano a creare qualcosa di essenzialmente Dolce&Gabbana e allo stesso tempo universale.

L’alta gioielleria di Dolce&Gabbana sfilano nella valle dei templi

udicare dall’accoglienza degli ospiti arrivati da tutto il mondo (400 circa) per vedere o acquistare abiti che possono costare come un appartamento. «Quasi spiace, o almeno stride, parlare di numeri e prezzi, presentando l’alta moda e l’alta sartoria – dicono i due stilisti –. La nostra è un’azienda, diamo lavoro a migliaia di persone perché abbiamo bilanci in ordine. Ma di fatto viviamo per fare moda, come se non ci fosse un domani. Assecondiamo ogni visione creativa, costi quel che costi. Possiamo farlo perché siamo indipendenti. Se appartenessimo a un grande gruppo o avessimo azionisti esterni non saremmo, di fatto, liberi. E la libertà, si sa, non ha prezzo».

Viene naturale citare la celeberrima frase del principe Mishkin ne L’idiota di Dostoevskij («la bellezza salverà il mondo»), ma forse è più attuale Byung-Chul Han, filosofo coreano che ha appena pubblicato il saggio La salvezza del bello, in cui, non è un caso, parte proprio dalla Grecia di Platone, per spiegare che l’epoca digitale rischia di far svanire, giorno dopo giorno, il bello, di cui si può fare esperienza solo allontanandosi, almeno per un po’, dalla tecnologia. Come è successo nei quattro giorni di viaggio in Sicilia di Dolce&Gabbana.

Agli eventi hanno lavorato migliaia di persone, molte arrivate da Milano, ma in gran parte siciliane. Sull’isola Domenico Dolce e Stefano Gabbana avevano già presentato alta moda e alta sartoria (a Taormina nel 2012 e a Palermo nel 2017), ma questa volta il racconto è stato più originale e coinvolgente. Per i clienti arrivati da tutto il mondo, in primis. Acquistando un abito si portano a casa l’eco di millenni di storia e secoli di know how artigianale. Molto rimarrà però anche ai siciliani, che si sono sentiti parte delle sfilate e delle presentazioni, in particolare a Palma di Montechiaro, il paese fondato dagli antenati di Giuseppe Tomasi di Lampedusa che poi, ribattezzato Donnafugata, fece da sfondo al Gattopardo.

 

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