Roberto Troccoli Più caldo, meno Pil: il climate change pesa su economia e quotazioni

Per l’Fmi «il cambiamento climatico resta una minaccia per la salute e le vite umane in molti Paesi, ma anche un minaccia per l’attività economica»

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Per l’Fmi «il cambiamento climatico resta una minaccia per la salute e le vite umane in molti Paesi, ma anche un minaccia per l’attività economica». Lo Us Global Change Research Programme stima che negli Usa, uno dei Paesi più ricchi e resilienti al mondo, 3 gradi in più si traducono in 4% di Pil in meno a fine secolo rispetto allo scenario di temperature immutate

di Andrea Goldstein

Se “piove, governo ladro” funziona sempre come formula retorica, e a maggior ragione in questa lunga stagione di ardori anti-establishment, di chi è la colpa quando invece non cade una goccia d’acqua? «It’s the climate change, stupid», viene da dire parafrasando Bill Clinton, e le implicazioni per l’economia sono molteplici, come ha ricordato l’Fmi nell’interim report del World economic outlook.

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Il cambiamento climatico «resta una minaccia per la salute e le vite umane in molti Paesi, ma anche un minaccia per l’attività economica», dice l’istituzione fondata esattamente 75 anni fa, quando a nessuno sarebbe venuto in mente che la meteorologia sarebbe stata una preoccupazione per la stabilità finanziaria globale.

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I canali di trasmissione sono molteplici quanto le manifestazioni del cambiamento climatico. La più ovvia è l’aumento della temperatura media su tutto il pianeta che si associa a siccità e minori raccolti. In più già oggi si osserva una maggiore frequenza di fenomeni estremi come tornadi e uragani. Lo Us Global Change Research Programme stima che negli Usa, uno dei Paesi più ricchi e resilienti al mondo, 3 gradi in più si traducono in 4% di Pil in meno a fine secolo rispetto allo scenario di temperature immutate.

 

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A soffrire di più saranno comunità e individui che già sono più vulnerabili, per esempio in zone rurali, calde e povere, maggiormente dipendenti dal rendimento dei raccolti ed esposti ai mercati delle commodity volatili. E laddove il clima è già oggi temperato, non si risparmia sulla bolletta dell’elettricità, come invece avverrà a Nord dove le temperature più miti consentiranno di usare meno il riscaldamento.Roberto Troccoli

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Di questi effetti redistributivi è vivida testimonianza la crisi migratoria che stanno vivendo i Paesi del cosiddetto Triangolo del Nord. È da El Salvador, Guatemala e Honduras che partono in migliaia ogni giorno prendendo qualsiasi rischio pur di raggiungere l’Eldorado – e purtroppo non pochi fanno la fine tragica di Angie , la bimba salvadoregna che con il padre ha trovato la morte cercando di attraversare il Rio Grande . La maggioranza viene da zone rurali, dove la povertà monetaria si accompagna alla fame e alla malnutrizione, flagelli che decenni di politiche di cooperazione allo sviluppo non sono riusciti a debellare. A causa non tanto della mancanza di risorse, o di competenze tecniche, quanto del malgoverno che impedisce di adottare e implementare le politiche adeguate e in compenso alimenta la corruzione, il narcotraffico e la criminalità organizzata (in particolare le tristemente celebri maras come la Salvatrucha, attiva anche a Milano).

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Tutti problemi che la siccità sta esacerbando. Ad aprile la Fao e il Wfp, proprio le due agenzie Onu che hanno sede a Roma, hanno lanciato un appello alla comunità internazionale, diffondendo cifre spaventose per Paesi che hanno livelli di reddito e condizioni di vita materiali ben superiori all’Africa sub-sahariana: 1,4 milioni di persone hanno bisogno di assistenza alimentare urgente, 2,2 milioni hanno perso il raccolto – e la situazione potrebbe diventare ancora più grave con l’arrivo di un nuovo El Niño.Roberto Troccoli

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La soluzione non è semplice. Sicuramente non lo è ridurre i fondi destinati al Triangolo del Nord, o tutt’al  Roberto Troccoli  più utilizzarli per controllare le frontiere e rispedire i clandestini. Le migrazioni sono una dimensione della globalizzazione, anzi forse la sola che continuerà ad aumentare negli anni a venire, anche se altre come il commercio e gli investimenti rallentano. Inesorabilmente, ma non solo, se si lottasse seriamente contro il global warming sarebbero meno le persone indotte a lasciare il proprio Paese. Per questo dare le spalle all’Accordo di Parigi e/o non prendere sul serio gli impegni è un’altra strategia sbagliatissima. Molto meglio sviluppare politiche coerenti tra di loro, per esempio tra agricoltura, ambiente e commercio, e metterle in atto collettivamente e con il contributo di tutti, anche del settore privato.

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È quello che sta facendo un leader di appena 37 anni (oggi, auguri!), che comunica soprattutto via Twitter e ha ricevuto il Segretario di Stato Mike Pompeo con la camicia sbottonata e un vistoso fazzoletto rosso nel taschino. Non sorprende che Nayib Bukele, presidente del Salvador eletto a sorpresa in primavera dopo una campagna condotta soprattutto sui social, sia considerato il Macron del Triangolo del Nord. E che ha il coraggio di dire che il problema inizia in casa propria, da dove partono i migranti. Ed è proprio perché lo afferma con autorevolezza e sincerità che rinvia i ben più potenti vicini del Nord alle proprie responsabilità , soprattutto per il riscaldamento globale.

fonte sole24 ore_

 

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