Sanzioni e dazi ostacolano il lusso made in Italy all’estero

C’è chi continua a comprare e chi ha iniziato a vendere. Si vocifera su imminenti Ipo o M&A. E c’è quella che gli americani chiamano merry go round (giostra) di stilisti e manager. Nei primi tre mesi del 2018 il lusso ha dato molti segnali di vitalità. In aprile arriveranno i risultati trimestrali e gli analisti sono ottimisti sull’intero esercizio, incertezze geopolitiche e sanzioni o guerre commerciali transoceaniche permettendo.

È di questa settimana la notizia che il colosso francese Kering – che controlla Gucci e ha chiuso un 2017 record, con ricavi in crescita del 27% a 15,5 miliardi e utile più che raddoppiato a 1,7 miliardi – ha ceduto il marchio Stella McCartney,co-fondato con la stilista nel 2001 e di cui deteneva il 50%. La figlia dell’ex componente dei Beatles Paul ha approfittato dell’opzione prevista nel contratto siglato 17 anni fa ed è ora proprietaria al 100% del brand che porta il suo nome. Intervistata dal quotidiano americano Wwd, non ha spiegato i dettagli del buyback, ma ha parlato «di un’opportunità che capita una volta nella vita». Sempre secondo Wwd, i ricavi di Stella McCartney nel 2016 sono cresciuti del 31% a circa 42 milioni di sterline, l’utile è salito del 42,5% a 7 milioni e nel 2017 ci sarebbe stata un’analoga corsa . Complice la sintonia di Stella McCartney con lo spirito del tempo: nel 2018 molti stilisti hanno annunciato che non useranno più pelli o pellicce, la designer inglese non lo ha mai fatto.

La prossima mossa di Kering potrebbe essere la cessione di Puma, marchio di sportswear poco in sintonia, per quanto estremamente redditizio, con la scelta di concentrarsi sul lusso “puro”.

Anche Richemont, terzo gruppo del lusso al mondo dopo Lvmh e Kering, ma primo nell’alta gioielleria e orologeria, sta rivedendo il portafoglio per concentrarsi sull’hard luxury. È di dieci giorni fa la notizia delle trattative del colosso svizzero con Piquadro per la cessione di Lancel, storica maison di borse e valigeria. Strategica poi l’opa totalitaria di Richemont su Ynap (Yoox Net-a-porter), leader europeo dell’e-commerce e in procinto di lanciare una sezione dedicata all’hard luxury all’interno del suo portale specializzato in collezioni da donna, Net-a-porter. Mentre sul portale dedicato all’uomo, Mr.Porter, è appena apparso un orologio Bell&Ross da 400mila euro, l’oggetto più caro mai venduto sul sito nei suoi sette anni di vita. Il fronte e-commerce è tutt’altro che secondario per il lusso: Federico Marchetti, ceo di Ynap, è stato il primo a capirlo e da un anno ha accelerato le collaborazioni con maison di gioielli e orologi. E non è un caso che nel 2017 Lvmh abbia internalizzato le vendite online con il portale 24sevres.com e, per quanto riguarda il mondo fisico, abbia creato con Marcolin la joint-venture Thelios, per la creazione e distribuzione di occhiali di fascia alta.

In attesa di sapere se il 2018 sarà l’anno di Ipo di aziende come FurlaVersaceTwin-Set, debutti sui quali si vocifera da anni (per non parlare delle ipotesi su Giorgio ArmaniDolce&Gabbana ed Ermenegildo Zegna), c’è molto fermento pure, dicevamo all’inizio, sul fronte delle poltrone.

Kim Jones, direttore creativo dell’uomo Louis Vuitton, è passato a Dior, sostituito da Virgil Abloh, giovane stilista in grado di coniugare alta gamma con tendenze streetwear, in pieno spirito Millennials. Riccardo Tisci, ex direttore creativo di Givenchy, è andato da Burberry e molti pensano che il tandem con l’amministratore delegato Marco Gobbetti possa portare risultati simili a quelli del duo Marco Bizzarri-Alessando Michele da Gucci. Da Roger Vivier (gruppo Tod’s) Bruno Frisoni ha passato il testimone a Gherardo Felloni, shoe designer con un passato nel gruppo Prada. La giostra del lusso continuerà a girare:Salvatore Ferragamo sta cercando un amministratore delegato, dopo l’uscita di Eraldo Poletto e l’interim affidato al presidente Ferruccio Ferragamo; Berluti(gruppo Lvmh) ha bisogno di un nuovo stilista.

A spingere ricavi e utili stanno pensando i cinesi, global shopper quasi compulsivi, e i russi, che nel 2017 e nel primo trimestre 2018 hanno ricominicato a comprare all’estero e in patria; a fermare gli acquisti e la voglia di “bello e ben fatto” (quasi tutto made in Italy) potrebbero essere solo le guerre commerciali. Donald Trump è convinto che sia facile vincerle. La moda italiana e il lusso avrebbero invece molto da perdere. Specie se la Cina decidesse di estendere le rappresaglie all’Europa.

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